L’insostenibile leggerezza della critica

E’ più forte di noi. Arriva prima di poter formulare un qualunque pensiero, si insinua come un fulmine nelle pieghe della nostra mente e ci accende d’ira come una miccia pronta ad esplodere per un nulla: l’inafferrabile necessità di muovere una critica.

Non esiste persona sulla terra a cui non sia mai scappata la tentazione di puntare il dito, di mettere quel fatidico accento e di spalmare i famosi puntini sulle “i”. Purtroppo è un attimo, ci imbattiamo in qualcosa che urta la nostra sensibilità – e mi pare che ultimamente di variegati argomenti all’ordine del giorno ce ne siano in abbondanza – e la prima cosa che ci viene in mente di fare, l’immediata, la più semplice, quella più elementare è criticare. E allora troviamo fiumi di parole che scorrono sotto i nostri occhi, con pagine e pagine – sui giornali, sul web non ne parliamo e sui social per l’amor del cielo – che altro non mettono in mostra che l’astio, il livore, il desiderio di vendetta e di una (presunta) giustizia – al limite di quella divina – che, se andiamo ad osservare da vicino, è ben lontana dall’essere tale e soprattutto assoluta.

Eh sì, perché una delle caratteristiche comuni che ritrovo nel muovere la critica ai tempi nostri è proprio l’assolutezza. Raramente ci si pone in atteggiamenti di dissenso – più che legittimi – senza scivolare nel “sia chiaro, tu pensala come vuoi, ma io parto dall’irremovibile presupposto di essere dalla parte del giusto”. A dispetto dell'(ab)uso frequente delle contestazioni, credo che muovere una critica sia una delle azioni verbali più delicate che si possano fare. In primo luogo perché ognuno parte dal proprio punto di vista che, come ho detto prima, non è assoluto, bensì relativo perché calibrato sul fatto che ciascuno di noi ne sa un pezzetto della vicenda di cui si interessa e non può conoscerla del tutto.

Sorprendente è osservare quanto poco ci si ricordi di questi (piccoli?) dettagli, tanto che ognuno si erge a giudice supremo, una sorta di narratore onnisciente che tutto vede e tutto conosce, le cui affermazioni sono sentenze inappellabili verso i protagonisti della vicenda. Si perde più tempo a sforzarsi di avere ragione della propria critica, invece di pensare che l’opinione dell’altro possa smuovere in noi una conoscenza maggiore e ampliare i nostri – limitati – orizzonti. Ed ecco che, puntare il dito, diventa immediatamente la cosa più semplice da fare perché la più naturale, come naturale è il giudizio.

Già da piccoli i nostri primi passi hanno un sapore di giudizio che, da grandi, poi non sappiamo più distinguere, rispetto alle opinioni. Un confine sottilissimo che ci sfugge e che finiamo per travalicare con una facilità impressionante, con un’insostenibile leggerezza. Molte volte non c’è desiderio di costruire, di proporre, di offrire un’alternativa, c’è solo desiderio di demolire perché l’avere avuto uno spicchio di ragione è pane per i denti del nostro ego. E se invece di criticare cercassimo di capire quanto è difficile proporre un’alternativa rispetto a qualcosa che non ci va bene, in grado di rispettare la moltitudine di aspetti della quale sicuramente si dovrà tenere conto?

Non è proprio banale, poi forse c’è chi è più bravo e chi meno, ma non è una gara, ognuno ha il proprio percorso da fare. E’ piuttosto il tentativo di ragionare e approcciarsi a ciò che non ci piace con occhi diversi, cercando di arricchirci, di crescere e di criticare non tanto perché vogliamo aver ragione e smontare a priori ciò che altri hanno costruito – magari pure con fatica -, mettendone in evidenza le falle – gesto molto facile da fare per chi è all’esterno – ma per costringere l’altro – e noi stessi – a superare i propri limiti ogni giorno un po’ di più. Questa è la crescita, questo è il senso del confronto, questa è la critica, così insostenibilmente leggera.

 

 

 

 

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