Una signorina distinta, dai lunghi capelli chiari, con indosso un vestitino di seta e una borsa da cui spuntano dei fiori di campo. Chi sarà mai questa fanciulla? “Io sono la morte”, disse con una flebile vocina. E in un baleno se ne andò lasciandosi dietro un silenzio irreale. Non era la solita vecchietta brutta dei cartoni o la maschera vestita di nero con la falce, era una graziosa fanciulla…
La morte. Viviamo come se non dovessimo morire mai. Come se, sotto una certa presunta giovane età, non ci fosse bisogno di parlarne, di conoscerla, di sapere che c’è e che, semplicemente, fa parte della vita. Guai parlarne ad un bambino, potrebbe avere paura. Guai parlarne ad un anziano, sembrerebbe irrispettoso. Guai parlarne a qualunque altra età, “perché sennò si pensa sempre alle cose brutte”. E finisce che, per un verso o per un altro, non se ne parla mai.
Che sia una reazione alla morbosità con cui ci vengono propinate certe informazioni? Può darsi. Che sia il “non ne parlo, almeno così è come se non esistesse”? Può essere. Fatto sta che è così. E insieme al divieto di parlare della morte o del solo pronunciarne il nome – un po’ come fosse il temuto Voldemort di Harry Potter -, c’è il divieto di parlare delle malattie e della sofferenza che c’è dietro. Da piccoli non ce lo racconta nessuno che morire è come nascere. Che la malattia è un segnale attraverso cui possiamo e dobbiamo cercare di capire che cosa non funziona nella nostra vita. Che la sofferenza è – finora – l’unico mezzo con cui l’uomo può imparare e crescere. In futuro chissà…
Oggi si celebra la Giornata mondiale del cancro e voglio dedicare queste mie riflessioni a coloro che mi hanno insegnato (e ancora lo stanno facendo) che cosa sia la forza d’animo e come si faccia ad accettare qualcosa che non possiamo cambiare, qualcosa da cui – che ci piaccia o no – proprio non possiamo fuggire, come la malattia. Prima di conoscerle pensavo che avere coraggio fosse affrontare le (piccole) lotte quotidiane, chiudere un amore, andare a vivere da soli, essere responsabili di se stessi. Poi la mia strada si è intrecciata alla loro, ho conosciuto la loro malattia. E tutto è cambiato.
Una di queste non c’è più, un anno fa esatto il cancro se l’è portata via. Dai lui ho imparato che cosa voglia dire respirare, lui che non poteva più farlo autonomamente. Le altre ci sono e – grazie a dio – stanno continuando a lottare ogni giorno, come leonesse, provando a capire perché questo è accaduto. Hanno coraggio, forza e paura… sì, perché il coraggio non esiste senza la paura. La differenza la fa come reagiamo. Cerco di fare tesoro dei loro insegnamenti quotidiani e mi accorgo che d’improvviso gran parte di ciò per cui tanto ce la prendiamo perde di significato. Le cose davvero importanti sono pochissime, stanno in abbondanza nelle dita di una mano!
Grazie per avermele ricordate. Grazie per la vostra forza, per il vostro coraggio e per la dignità con cui accettate quello che state vivendo. Il vostro esempio mi fa capire quanto lunga sia la strada e quanto siamo capricciosi, viziati, pigri, lamentosi senza validi motivi noi altri “sani”. Vi chiedo scusa per la nostra “insensibilità”, credo che nasca dal non capire ciò che non conosciamo. L’unica possibilità è iniziare ad ascoltarci e a sentire, l’empatia può aiutarci ad essere più vicini a voi senza avere pietà, ma con il rispetto della vostra dignità.
E chissà che parlare della morte non significhi farla diventare meno brutta, addirittura una fanciulla ben vestita che viene trovarci al “momento giusto”, come se fosse una vecchia amica…
a V., G., R., E., M. e S.
#worldcancerday