Franca, un gigante in un mondo che era (ed è) troppo piccino

La scomparsa di Franca Valeri, inutile sottolinearlo, lascia un vuoto. Uno di quelli grandi grandi. Perché non se ne va solo una straordinaria artista, una visionaria, una donna moderna senza eguali, se ne va una persona arguta ed intelligente, capace di ridere di sé e di tutte le nostre contraddizioni. Con lei se ne va una parte della bellezza umana, oggi così profondamente intrisa di bruttezza, che anche a 100 anni le sue parole sono gocce d’acqua per chi ha sete di umanità.

Messaggi di cordoglio e di affetto sono giunti da moltissime persone, soprattutto quelle comuni, quelle semplici alle quali lei è sempre riuscita a parlare, perché lei si faceva capire. La sua intelligenza si trasformava in quella semplicità che oggi ci è quasi sconosciuta perché sempre così maledettamente complicata. Oggi ciò che è semplice spesso viene scambiato per banale, tanto che pensiamo per forza di dover essere originali, finendo per essere ridicoli e grotteschi, senza mai pensare di essere noi stessi. Semplicemente, appunto.

Franca Valeri è colei da cui ha preso corpo la mia tesi di laurea (e scusate se è poco!). Ho sempre indagato la comicità in tutte le sue forme e mi sono interrogata se gli uomini e le donne avessero un modo diverso di far ridere, se i loro meccanismi fossero uguali oppure no. Quando ho iniziato a cercare materiale, mi sono accorta subito che la storia dello spettacolo vantava moltissimi uomini comici, ciascuno con la sua caratteristica, ma sempre uomini. Quando ho iniziato la ricerca sulle donne, l’unica, la prima che il ‘900 ci avesse regalato è stata proprio lei. E da qui ho iniziato a leggerla e a studiarla. Quello che mi interessa non è fare il suo “coccodrillo” (perché il web è pieno), né tantomeno raccontare aneddoti perché, ahimé, l’ho vista una sola volta a teatro ma non l’ho mai conosciuta di persona.

Quello che mi interessa approfondire, è invece una riflessione sul grande (direi quasi immenso) vuoto che personaggi come lei lasciano in questo nostro mondo confuso e affollato. Che cosa rappresenta questo vuoto? Per me è come un costante senso di nostalgia verso un qualcosa di magnifico che non potrà più tornare. E’ un po’ come sentirsi orfani. Franca era davvero un gigante in un mondo piccino, come ha scritto Beatrice Dondi in un articolo su L’Espresso “Addio Franca Valeri, un secolo in avanti”. E quello che temo è che, con la sua partenza, il nostro mondo si riveli ancora più piccino per chi resta.

In mezzo ai tanti commenti che da ieri stanno affollando il web, mi sono imbattuta in alcuni dai toni davvero acidi e crudi, che avevano come protagonisti simpatizzanti o militanti della destra odierna, che non hanno apprezzato le sue dichiarazioni su quando andò a guardare i cadaveri del Duce e della Petacci appesi a testa in giù a piazzale Loreto, nell’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo al Corriere della Sera (leggi qui): «Mia mamma era disperata a sapermi in giro da sola. In quei giorni a Milano si sparava ancora per strada. Ma io volevo vedere se il Duce era davvero morto. E vuol sapere se ho provato pietà? No. Nessuna pietà. Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute, le cose. E noi avevamo sofferto troppo».

In seguito a queste dichiarazioni si sono scatenati una serie di commenti molti tristi, non tanto perché manifestano la volontà di alcuni di non essere d’accordo con lei (legittimo, ci mancherebbe), ma perché quasi tutti hanno una o più offese al suo interno, senza argomenti ma solo parolacce. E questa è l’unica obiezione che viene fatta. Il modus operandi è quello al quale ci siamo abituati oggi, lo vediamo in tv, nei dibattiti, persino in Parlamento. Ma vederlo addosso ad una persona come Franca Valeri mi fa ancor di più rabbrividire. Ma davvero siamo finiti così in basso? E’ come se questo nostro mondo, già piccino quando lei esordiva con una modernità imbarazzante nel dopoguerra, non avesse imparato nulla ma anzi, negli anni, lo fosse diventato ancor di più. E cosa ancora più triste, forse tutti noi ci stiamo abituando.

Quello che mi fa davvero paura è pensare di arrivare ad un giorno in cui non saremo più in grado di distinguere l’offesa dal far valere le proprie ragioni, la bassezza dall’argomentare e l’ironia dalla seriosità che ci serve per sembrare meno buffoni, finendo per esserlo di più. Non stanchiamoci di far conoscere i suoi personaggi alle nuove generazioni, teniamoli vivi, usiamoli per riflettere e forse capiremo che esiste altro, che un altro modo di criticare, contestare, porre l’accento, c’è ed è possibile e che l’offesa non è mai la strada per il dialogo. E’ la strada per l’inferno della bruttezza verso il quale io non voglio andare.

Buon viaggio Franca, adesso “vedrai che cosa c’è dall’altra parte”, mentre noi resteremo qui cercando di non smarrirci, in compagnia dei tuoi testi e dei tuoi personaggi.

“Aspettavamo il Duemila con la speranza che avremmo visto realizzate cose straordinarie. E tutto lo straordinario che c’è stato vomitato addosso è solo qualcosa di ripugnante. Ci resta questa noia. Noia per il progresso ostinato, per le banalità televisive, per le cattive notizie, per i ciarlatani della politica che hanno scambiato il Parlamento per un teatro, ma non sanno nulla del vero teatro. Ogni tanto mi chiedo: risorgeremo da tutto questo tedio? Non ho una risposta, ma ci sto seriamente pensando”.

F. Valeri (intervista a Repubblica)

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