Il mestiere di vedere la vita porti con sé la curiosità

Avete mai notato come la professione (o il mestiere) che svolge una persona incida sul suo modo di pensare? Se uno fa l’avvocato, l’ingegnere, il medico non importa che te lo dica, te ne accorgi dalla maniera in cui si approccia ai pensieri, da come è “abituato” a vedere la vita. E’ come se, la professione che scegliamo di fare, sia anche il modo con cui scegliamo di voler vedere la vita. La prospettiva che siamo disposti a darle.

Calma, ora mi spiego meglio. Quando frequentavo l’Università avevo modo di scambiare molte riflessioni con gli altri studenti. Per chi sceglie Lettere – e in particolar modo ‘Storia del teatro’ – scambiare opinioni diventa il pane quotidiano. Si vanno a vedere molti spettacoli insieme agli studenti e ai professori, e poi in aula se ne discute a lungo. E durante queste discussioni (per lo più a sfondo metodologico e critico) mi sono accorta che stavamo ragionando tutti nello stesso esatto modo e avvertivo quella sensazione di onnipotenza che ti prende quando di qualcosa ne sai “un po’ di più”. Era pazzesco ma eravamo tutti concentratissimi sulla tecnica dello spettacolo, sull’analisi della recitazione e sul far vedere ai nostri insegnanti quanto stessimo imparando e quanto fossimo maledettamente bravi. E questa cosa ci “gasava” tantissimo, ti sentivi il “Dio del teatro”.

Poi un giorno un professore fece qualcosa che non ci aspettavamo, al quale eravamo del tutto impreparati. Durante una di queste lezioni, appunto, chiese che, a turno, gli parlassimo dello spettacolo visto la sera prima. Fin qui tutto bene. Iniziammo uno per uno, ovviamente declamando in pompa magna quello che stavamo studiando, con l’aria di chi ama tantissimo ascoltarsi quando parla, quando ad un certo punto il professore interruppe il mio collega e gli fece una semplice domanda: “Ma insomma lo spettacolo ti è piaciuto sì o no?”. Sul volto di questo giovanotto attimi di puro terrore. Sudorazione, respiro affannato, panico, occhi sgranati. E dopo qualche istante disse: “Io… non lo so”. BAM! Uno squarcio nel limpido cielo azzurro dell’istruzione Universitaria era appena avvenuto!

Quel “non lo so” scatenò la furia di Odino. Il professore saltò sulla sedia furibondo e mi ricordo che lo cacciò al suo posto urlandogli contro qualunque parola gli venisse in mente in quel momento. E alla fine disse: “Non serve a nulla studiare e sapere ogni cosa se non sai la cosa più importante: che cosa ti piace e che cosa no”. THE END. Definitivo direi. Fine di una mattinata che si concluse con lo studente umiliato e mortificato, e con tutti gli altri (tra cui io) che avevano imparato una delle lezioni più importanti della vita, ma senza averlo capito.

Confesso che da quel giorno qualcosa è cambiato. Quella lezione mi è rimasta impressa, anche perché finalmente mi confermava una cosa di cui mi ero accorta ma che non avevo il coraggio di dire: il fastidio che provavo ogni volta che sentivo un mio collega parlare di teatro con quella sicumera (che parolona!), quella boria di chi sa di sapere (o meglio pensa) e ne fa sfoggio con la sola finalità di ascoltarsi per dirsi “ma quanto sarò bravo!”. Senza sentirsi.

Se si conosce un argomento, se si padroneggia un mestiere oppure una professione, va bene, è utile e fa anche piacere, ma questo non ci deve autorizzare a farne sfoggio. Perché rimane sempre un piccolo pezzettino di una delle tantissime cose che si possono fare o conoscere. Molti studenti, miei colleghi di studi, fuori da quei teatri, sulle scalinate umide, commentavano con una boria che mi faceva rabbrividire, boria che, nel corso del tempo, ritrovo pari pari in molti altri professionisti, studiosi e così via. Quella capacità di far pesare come un macigno la propria conoscenza, quella irrefrenabile volontà di dar da mangiare al proprio ego (notoriamente un grande ingordo!). Che nel corso del tempo diventa anche l’unico occhio sul mondo, l’unica visione che ci permettiamo di avere. Perché o si fa così o non si fa. Non sono d’accordo.

Imparare che “si fa così”, che c’è un modo di vedere la vita attraverso le nozioni e le informazioni della propria professione è importante, è un arricchimento, ma non è tutto. Che succede se unisco a questo modo la curiosità? Che accade se lascio che il dubbio invada ancora i miei pensieri contemplando la possibilità che ci sia questo ed altro? Che forse la boria diminuisce. Che il mio Ego dimagrisce (olè!). E che magari continuo ad imparare. La curiosità è uno dei motori più affascinanti, uno spinta pazzesca, una fonte inesauribile di insegnamenti ed esperienze, senza la quale pensiamo di sapere pur sapendone solo un pezzetto. E non sarebbe bello provare a saperne un po’ di più.

Sapiente è colui che sa di non sapere. (Socrate)

Non colui che si boria del suo sapere. Sapevatelo!

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