Magone, quel vecchio amico che ci ricorda il nostro viaggio

Ci sono giorni nei quali si capisce subito che un vecchio amico è tornato a farci visita, uno di quelli che riconosci a prima vista, senza nemmeno bisogno di parlare. Uno che conosci da una vita, che quando non c’è si sente (anche se non manca): sto parlando del magone.

Che parola bellissima magone! È una di quelle in grado di indicare con una precisione millimetrica l’esatta corrispondenza tra ciò che sentiamo e ciò che il nostro corpo manifesta. Sì perché i sentimenti si ripercuotono sulle sensazioni del corpo, ma il più delle volte nemmeno ce ne accorgiamo…

Però col magone è diverso. Voglio dire, il magone è un forte peso di compassione, di preoccupazione, una sorta di timore che dalla gola arriva fino allo stomaco (anche se dipende dai casi, voglio dire non è che esista un metro o un intervallo preciso tra lo stomaco e la gola, più o meno si aggira da quelle parti lì insomma) e che indica una grande finezza dei sensi interni, di tutta quella serie di percezioni invisibili che succedono fra noi e il nostro corpo.

E quando torna a trovarti lo riconosci eccome se lo riconosci! Ogni volta che mi fa la sua “visitina”, mi torna sempre alla mente il monologo di Lella Costa “Magoni (e altri miracoli)”, un lavoro del 1995 in cui, con la solita ironia che la contraddistingue ci racconta quel “groppo in gola” che stringe il cuore, anche senza una ragione precisa o meglio, senza che se ne capisca il motivo, perché alla fine un motivo c’è sempre.

Questa è stata la prima volta che ho capito che il magone era il magone e che qualcuno lo percepiva come me e lo aveva addirittura raccontato. Fantastico! Se non lo conoscete, dovete vederlo, perché è davvero una sorta di “Bignami” del magone, un vademecum pieno zeppo di esempi esilaranti che ognuno di noi, almeno una volta ha vissuto.

Pensate alla musica: chi non ha mai provato un magone per un brano musicale oppure per il finale di un film dove la musica sale di colpo e il nostro corpo viene risucchiato in un vortice di struggimento e malinconia? A volte il magone, quando arriva, ci chiede addirittura di ascoltare un brano per avere ancora di più la possibilità di uscire fuori e rafforzarsi con quel nodo alla gola che, quando va bene, esplode in pianto. Per cosa? Chi lo sa, qui cominciano i guai…

È qui che vediamo quanto poco siamo a contatto con noi, come non sappiamo conoscere e riconoscere l’origine di ciò che ci sta succedendo. E mi sono chiesta come mai. Perché non lo sappiamo fare? Perché non lo abbiamo mai imparato a fare. Da bambini chi ci chiede cosa senti? Chi ci aiuta a “leggere” le nostre emozioni, a saperle gestire, a “maneggiarle”? Chi? I nostri genitori? Gli insegnanti? Chi? Quanti di loro sapevano farlo al punto da potercelo insegnare? Per quanto mi riguarda quasi nessuno.

E intanto si cresce, si va avanti, si fanno esperienze di tutti i tipi e si accumulano talmente tante emozioni che ad un certo punto ci sembrano tutte uguali, non ne distinguiamo nemmeno la differenza. Ho scoperto da grande (e quando dico ‘da grande’ intendo davvero poco tempo fa) quante sono le emozioni e soprattutto quali sono (ve le scrivo tante volte non le ricordaste: rabbia, gioia, dolore, disgusto e paura) , oltre naturalmente a tutte le derivazioni. E mi sono chiesta: ma quanta fatica in meno avrei fatto nella mia vita se mi avessero fatto la fatidica domanda quando ero piccola: “Che cosa senti?”. E da lì avessi iniziato ad ascoltarmi?

Ma è andata così. Intendiamoci, non è detto che sia un male. Perché ora passerò il resto della vita a tentare di scoprire che cosa sento quando mi succede qualcosa (quindi praticamente ogni minuto!) e qual è l’emozione che provo. E ogni volta è davvero una scoperta…

Se è vero, come dice il saggio e ripete il poeta, che l’importante non è la meta ma il viaggio, vi posso dire che il mio di viaggio è decisamente iniziato, e che il magone altro non è che una tappa, un passaggio per arrivare a quello che mi aspetta dopo. Qualunque cosa sia, una volta affrontata ne saprò ancora un po’ di più. E così via (sia!).

Buon viaggio (a chi vorrà partire) e buona fortuna (a chi vorrà restare)!

Per le parole pronunciate dal cuore non c’è lingua che possa articolarle, le blocca un nodo in gola e solo negli occhi si possono leggere.
José Saramago

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