A dare uno sguardo in giro, quello che si nota subito è un gran desiderio di rivalsa. Da che cosa? Da ogni cosa. Stare a casa, fermarsi, rallentare per combattere il Coronavirus, un nemico invisibile che non solo non vediamo, ma nemmeno lontanamente conosciamo, è come se ci avesse creato u moto d’orgoglio (legittimo) da farci desiderare una rivincita su ciò che (ci pare) non funzionare molto bene (o non aver funzionato bene fino ad ora) nella nostra vita.
Beninteso, nella rivalsa non c’è per forza qualcosa di male. E’ una spinta, un motore che accende la volontà e ci fa raggiungere obiettivi importanti. Quindi bene. Ma (perché un ma c’è quasi sempre) quello che mi chiedo è come mai sia la prima cosa (o tra le prime cose) che ci viene in mente. Come mai prima ancora di interrogarsi, di capire a che punto siamo (perché siamo sempre a un qualche punto dove, il più delle volte, non sappiamo di essere), prima ancora di accorgersi di noi, di chi ci sta intorno, di ciò che ci accade, ci viene la voglia di rivalsa? E’ curioso mi pare, almeno per un paio di motivi.
Rivalersi, per definizione, significa “valersi di nuovo, rifarsi di una perdita, di un danno, su qualche cosa o persona”. Bene, mi pare chiaro il concetto. Ora, per “valermi di nuovo” devo quantomeno sapere quanto valevo prima. Questo presuppone conoscersi e ascoltarsi al punto da avere un’immagine di sé il più possibile aderente a come siamo davvero (intendo con pregi e difetti, limiti e potenziale, ecc…), e non per come ci piacerebbe/desideriamo essere. E qui sta il primo nodo. Perché se io mi voglio far valere di nuovo per qualcosa che penso mi sia dovuto, farò una fatica bestiale per cercare di ottenerlo senza riuscirci perché è fuori portata o, semplicemente, non è adatto a me.
Altra cosa. Lo ridico perché non vorrei essere fraintesa. La rivalsa è una bella cosa, sotto certi aspetti. Ciò che mi lascia un po’ perplessa è che, in questa emergenza strana, nuova, impensabile fino a due mesi fa, una delle cose che va per la maggiore, o almeno quello che leggo, vedo, ascolto attraverso le parole di molti è questa (quasi) per prima. Mi fa strano. Mi sono chiesta come mai è una delle prime cose a cui si pensa? La rivalsa, per definizione, presuppone di attingere all’egoismo e questo non è necessariamente un male. Esiste il sano egoismo, quel “bisogno” che ci permette di vivere pienamente la nostra dimensione, senza dover dipendere da qualcuno o da qualcosa, quello che ci salva e ci permette di avere la piena responsabilità della nostra vita, senza dover dipendere dagli altri.
Ma che cosa succede se il desiderio di rivalsa è spinto quasi completamente dall’egoismo, diventando l’obiettivo da raggiungere “a tutti i costi”? Ecco, questo mi preoccupa. La rivalsa che nasce all’interno di un’emergenza così folle temo possa essere spinto da questa volontà, più che dal voler riacquistare il valore. Perché se io volessi riacquistare il valore, la prima cosa che potrei notare è quanto poco valore davo prima alla vita che conducevo. Sì, non è retorica, è vero. Molto davamo per scontato (e questo non vuole automaticamente dire che ciò che vivevamo non ci piaceva o non ne percepivamo il piacere o la felicità, anzi!) ma comunque c’era, c’era sempre stato e continuava ad esserci, come era giusto che fosse, perché infondo me lo meritavo! Ma era giusto? Chi lo dice? Solo perché c’era non voleva dire che doveva esserci. E se invece fosse stato un regalo giornaliero, un dono che poteva anche non esserci, che cosa succede se pensiamo a questo? Che succede se penso a ciò che avevo e che magari non mi piaceva, non come a uno spasmodico bisogno di “farcela un giorno”, ma a un’occasione per imparare ad essere una persona migliore, con umiltà, accettando che anche questo (che non mi piace) serve? Che succede al concetto di rivalsa a questo punto? Che perde valore.
Là dove invece lo conserva, ecco quella è la vera rivalsa perché lì c’è il desiderio reale di chi conosce il proprio valore e, dalle difficoltà incontrate in questi mesi, avrà imparato qualcosa su di sé e ne potrà fare tesoro per il suo futuro, dando il giusto valore anche a quelle!
Alla fine ci sarà un perché se per Dante la parola “valore” indica l’onnipotenza di Dio e, insieme, la somma delle virtù (doti morali e intellettuali) di un uomo, mica possiamo farla “valere” meno di così, non vi pare?!
Marcet sine adversario virtus – Il valore senza avversario ristagna