Accomodarsi o accettare? Nel dubbio facciamo un atto di fede

Come si distingue l’accomodarsi dall’accettare? Beh, domanda meno semplice non potevo farmela, sì lo so, eppure… Sono due modalità che utilizziamo quando facciamo fronte a qualcosa che ci accade e che è lontano da noi o non ci piace, ma dobbiamo farlo per forza, per una serie infinita di motivi.

Quante volte ci è capitato di dover accettare situazioni personali, lavorative, familiari e di molte altre nature, che proprio per nulla ci piacevano o volevamo? Un numero enorme, immagino. Ogni volta che, magari, facciamo un progetto e questo viene stravolto dagli eventi, oppure quando abbiamo un piano e la vita, senza nemmeno troppa delicatezza, ti dice semplicemente: “No, a questo giro non ti tocca!”, tutto questo lascia il segno dentro di noi. E che cosa facciamo allora?

L’unica strada sembra essere quella dell’accettazione. Ma accettare non è una cosa proprio facile facile, per il semplice fatto che presuppone la capacità di accogliere ciò che c’è in quel preciso momento nella nostra vita, ritenendolo, seppur non sia ciò che si desidera, assolutamente il meglio per noi. Sì, lo so, è una parola, ma infatti non ho mai detto che era facile… Gli elementi che entrano in gioco a questo punto sono molti: la fede, per esempio, oppure il non attaccamento (auguri!), e così via. Diciamoci la verità, spesso questo non ci riesce e finiamo per arrabbiarci, ostinarci e sentirci costantemente frustrati (alzi la mano chi non lo ha mai provato) perché non possiamo raggiungere ciò che vogliamo.

E fin qui mi sembra tutto chiaro. Ma quand’è che subentra l’accomodarsi allora? Quando smetto di dare valore a ciò che sento e a quello che desidero. E questo può accadere. Se ci accorgiamo di non riuscire ad ottenere quello che si vuole, per motivi che possono essere legati alle nostre paure oppure al nostro carattere, ma anche a eventi o persone esterne a noi, può capitare di pensare: “Ok, forse non è così importante, se non lo posso avere pazienza, vuol dire che posso farne a meno”. Peccato che non funzioni sempre così.

Questo non significa che abbiamo accettato ma semmai che ci siamo accomodati nella situazione, ce la siamo fatta andare bene insomma, ma la differenza vera la fa che cosa ci succede dopo. Anche dopo parecchio tempo. Se è accettazione è un atto di fede – si potrebbe chiamare così senza nessuna particolare connotazione che potrebbe apparire urticante ai più – e il tempo non ci farà provare né risentimento, né frustrazione, né rimpianto, né dolore, ecc… insomma, man mano che i giorni passano quello che c’è sarà davvero ciò che è più giusto che ci sia nella nostra vita. E il merito lo attribuiremo a quanto ci è accaduto proprio quella volta che invece avremmo voluto…

Se invece ci siamo accomodati, anche dopo molto tempo, qualcosa dentro di noi ci farà tornare in gola quella fatidica frase: “E pensare il sacrificio che ho fatto quando ho rinunciato a…”. Il resto mettetecelo voi, ognuno ha episodi della propria vita con in quali poter completare la frase. E la sensazione di aver lasciato qualcosa per strada proprio quella volta lì, sarà d’ora in poi la nostra più fedele compagna di viaggio. Questa frase sarà il veleno che contaminerà le relazioni (di qualunque natura siano) che avremo da lì in poi, perché anche se in quel momento pensiamo di aver accettato, c’è qualcosa dentro di noi che sa benissimo quanto non sia affatto così, quanto tutto questo sia ingiusto perché “Io mi meritavo di più e meglio!” e al momento più giusto saprà ripresentarsi e farsi valere (ahimé!).

E proprio da qui nasce il mio dubbio, dall’aver sperimentato tutte e due le condizioni. E allora in quali momenti è giusto insistere nel perseguire i propri desideri e sogni che, lo sappiamo tutti, per avverarsi hanno bisogno di essere sostenuti per primi da noi stessi, nonostante le avversità della vita, e quando invece occorre accettare, lasciando andare e affidandosi a ciò che verrà?

L’unica risposta che sono riuscita a trovare (ma su questo accetto suggerimenti) è compiere sempre un atto di fede e lasciar andare le cose come devono andare. Questo ci aiuta a non avere risentimento e a non portare nel futuro i ricordi e le abitudini di un passato troppo ingombrante (perché, mi dispiace dirvelo, ma il passato è sempre troppo ingombrante per il presente!). Per farlo è necessario dire a se stessi: “Io vorrei… (e qui compilate voi la frase) ma adesso è difficile o mi sembra impossibile (a seconda della situazione). Lascio che le cose vadano come devono andare, se questo che desidero è giusto per me allora accadrà, se non lo è per me in questa vita ci sarà altro”.

In questo modo, una parte di noi continua a lavorare a livello inconscio (o comunque energetico) su quanto vogliamo, dando valore e significato al nostro desiderio (evitando quindi di abbandonarlo) e, allo stesso tempo, accetteremo ciò che accade e potremo imparare da una situazione che non vogliamo (notoriamente i momenti nei quali si impara di più sono proprio quelli che ci piacciono meno, è il caso di dire: “che ci piaccia o no!”), senza avere rancore o risentimento verso ciò che verrà dopo.

Personalmente preferisco accettare che accomodarmi, ma il più delle volte finisco per accomodarmi anziché accettare, perché con gli atti di fede non sono proprio campionessa mondiale… Che dite proviamo? E se oltre l’atto di fede ci fosse addirittura qualcosa di ancora meglio rispetto a quanto desideravamo in partenza? Intanto mi butto, poi fra qualche anno vi dico – senza rancore – se ci sono riuscita!

Hai mai provato la sensazione di essere lì, a bordo di un precipizio e non sapere che fare? Tra fare un passo indietro e lasciarti andare, scegli di lasciarti andare, se non ti è dato di trovare un solido terreno, credimi, imparerai a volare”.
Paulo Coelho

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